[Dal quotidiano "La Repubblica" del 22 dicembre 2008 col titolo "Il silenzio
delle sentinelle"]
Dovremmo aver imparato in questi quindici anni che, nonostante l'abitudine
alla menzogna, Berlusconi non nasconde mai i suoi appetiti. Il sermone di
fine anno ci ricorda che la sua bulimia non conosce argini.
Vuole il presidenzialismo come il compimento della sua biografia personale.
Non si accontenta di avere in pugno due poteri su tre. Dopo aver asservito
il Parlamento al governo, pretende ora che evapori l'autonomia della
magistratura. Dice che la riforma della giustizia e' pronta e sara'
battezzata al primo Consiglio dei ministri del 2009. Anticipa quel che ci
sara' scritto: i pubblici ministeri se le scordino le indagini. Diventeranno
lavoro esclusivo delle polizie subalterne al ministro dell'Interno, quindi
affar suo che governa in nome del popolo. I pubblici ministeri, ammonisce,
diventeranno soltanto "avvocati dell'accusa". Andranno in aula "con il
cappello in mano" davanti al giudice a rappresentare come notai, o come
burocrati piu' o meno sapienti, le ragioni del poliziotto. Dunque, del
governo. Con un colpo solo, si liquidano l'eguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge (art. 3 della Costituzione, "Tutti i cittadini sono eguali
davanti alla legge"); l'indipendenza della magistratura (art. 104, "La
magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro
potere"); l'unicita' dell'ordine giudiziario (art. 107, "I magistrati si
distinguono fra loro soltanto per diversita' di funzioni"); l'obbligatorieta' dell'azione penale (art. 112, "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale"); la dipendenza della polizia giudiziaria dal pm (art. 109, "L'autorita' giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria").
Soltanto un effetto autoinibitorio puo' impedire di udire, nelle "novita'"
di Berlusconi, una vibrazione conosciuta e cupissima. Anche a rischio di
indispettire il suo alleato decisivo (Bossi), il mago di Arcore rimuove -
per il momento - il federalismo dalle priorita' del 2009 per rilanciare il
castigo delle toghe e la nascita della repubblica presidenziale. Sara' un
gaffeur o un arrogante, sara' per ingenuita' o per superbia, Berlusconi
propone la necessita' di una riforma costituzionale con le stesse parole - e
per le stesse ragioni - di Licio Gelli. Se non lo si ricorda, davvero "le
memorie deperiscono e i fatti fluttuano", come ripete nel deserto Franco
Cordero. Appena il 4 dicembre il "maestro venerabile" della P2, intervistato
da Klaus Davi, ha detto: "Nel mio piano di rinascita prevedevo la creazione
di una repubblica presidenziale, perche' da' piu' responsabilita' e potere a
chi guida il Paese, cosa che nella repubblica parlamentare manca".
Berlusconi, 20 dicembre: "Sono convinto che il presidenzialismo sia la
formula costituzionale che puo' portare al migliore risultato per il governo
del paese. L'architettura attuale non permette di prendere decisioni
tempestive e non da' poteri al premier".
Fa venire freddo alle ossa il farfuglio dell'opposizione di fronte a questo
funesto programma da realizzare presto (si annotano soltanto parole che
dicono d'altro). E' un silenzio che lascia temere o lo stato confusionale di
opposizioni ormai assuefatte al peggio o un'altra letale tentazione di
quella commedia bicamerale che, senza sfiorare il conflitto di interessi,
concesse al mago di Arcore l'impero mediatico e, in nome del primato della
politica sulla giustizia, la vendetta sulla magistratura. Dio non voglia
che, con il prepotente ritorno al proscenio di qualche campione di quel
tempo, la stagione si rinnovi. In una giornata di sconcerto, sono cosi' un
balsamo le parole di Giuseppe Dossetti, padre della Costituzione e dello
Stato poi fattosi monaco (le ha ricordate ieri Filippo Ceccarelli). Vale la
pena tornarci ancora su.
In memoria del suo grande amico Giuseppe Lazzati, e in coincidenza della
prima vittoria delle destre, Dossetti pronuncia un discorso famoso. Il
titolo lo ricava da un salmo di Isaia (21, 11) "Sentinella, quanto resta
della notte?". In quei giorni del 1994, egli vede affiorare un male
diagnosticato con molti anni di anticipo: la supremazia di una concezione
individualistica, in cui il diritto costituzionale regredisce a diritto
commerciale (il primato del contratto, l'eclissi del patto di fedelta'); il
dissolversi di ogni legame comunitario, mascherato dietro l'appello al
"federalismo" (il "politico" diventa pura contrattazione economica); il
rifiuto esplicito di una responsabilita' collettiva in ordine alla
promozione del bene comune (la comunita' e' fratturata sotto un martello che
la sbriciola in componenti sempre piu' piccole sino alla riduzione al
singolo individuo). Non si puo' sperare, dice Dossetti e parla ai cattolici,
che si possa uscire dalla "nostra notte" "rinunziando a un giudizio severo
nei confronti dell'attuale governo in cambio di un atteggiamento rispettoso
verso la Chiesa o di una qualche concessione accattivante in questo o quel
campo (la politica familiare, la politica scolastica)".
Dossetti non nega la necessita' di cambiamenti. Elenca: riforma della
pubblica amministrazione; contrasto alle degenerazioni dello Stato sociale;
lotta alla criminalita' organizzata; valorizzazione della piccola e media
imprenditoria; riforma del bicameralismo; promozione delle autonomie locali.
Teme pero' riforme costituzionali ispirate da uno "spirito di sopraffazione
e di rapina". "C'e' - avverte - una soglia che deve essere rispettata in
modo assoluto. Questa soglia sarebbe oltrepassata da ogni modificazione che
si volesse apportare ai diritti inviolabili civili, politici, sociali
previsti dalla Costituzione. E cosi' va pure ripetuto per una qualunque
soluzione che intaccasse il principio della divisione e dell'equilibrio dei
poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario, cioe' per
l'avvio, che potrebbe essere irreversibile, di un potenziamento
dell'esecutivo ai danni del legislativo ancorche' fosse realizzato
attraverso referendum che potrebbero trasformarsi in forma di plebiscito". I
referendum, segnati da "una forte emotivita' imperniata su una figura di
grande seduttore", possono trasformarsi infatti "da legittimo mezzo di
democrazia diretta in un consenso artefatto e irrazionale che appunto da'
luogo a una forma non piu' referendaria ma plebiscitaria". Il "padre
costituente" denuncia senza sofismi quel che vede dietro la "trasformazione
di una grande casa economico-finanziaria in Signoria politica". Vede la
nascita, "attraverso la manipolazione mediatica dell'opinione", di "un
principato piu' o meno illuminato, con coreografia medicea". Dossetti chiede
allora ai cristiani di "riconoscere la notte per notte" e di opporre "un
rifiuto cristiano" ritenendo che "non ci sia possibilita' per le coscienze
cristiane di nessuna trattativa".
Nessuna trattativa. Per trovare queste parole che aiutano a sperare ancora
in una via diurna, si deve ricordare Dossetti. Dove sono le "sentinelle" a
cui si puo' chiedere oggi: "Quanto resta della notte"?