Suo padre Venusto era mezzadro nella tenuta detta "La Boarìa" (a Colunga).Gli piacevano poco i padroni e ancora meno i fascisti, che spesso erano la stessa cosa.
Era uno che non stava zitto di fronte a ingiustizie e prepotenze.
Nel 1928, quando aveva 42 anni e 1O figli, il padrone, per una questione di soldi, lo fece assalire da un gruppo di fascisti di Idice, già noti per le loro violenze.
Lo presero vicino alla Marescotta; gli diedero un sacco di botte, poi lo portarono in via Mirandola, di fronte alla sua casa: qui lo finirono passando gli sopra con le motociclette.
La vedova denunciò gli aggressori e il mandante, ma perse la causa: le sequestrarono tutto per le spese processuali.
Dovettero lasciare la terra; si trasferirono alla "Corte dei Legni" (erano le case di fronte al Municipio, vicino al "Palazzone"): in quali condizioni vivessero è facile immaginare.
Nel gennaio del 1943, Gaetano, che allora aveva 17 anni, fu assunto in ferrovia.
Dopo l'8 settembre, Luciano Bracci, anche lui giovanissimo, Gaetano e altri coetanei amici d'infanzia, formarono un "gruppo sovversivo", che non aveva contatti con altri gruppi simili di San Lazzaro, ma che, tramite qualche conoscenza personale, era entrato in contatto con un esponente del PCI di Casalecchio.
La vera attività partigiana, però, comincia nella primavera successiva (1944).
La compagnia di Gaetano faceva parte della 62a brigata Garibaldi, il cui comando si trovava a Castelnuovo, sopra Bisano di Monterenzio.
Ma loro stavano in una zona più vicina a San Lazzaro, tra Pianoro e il Botteghino di Zocca (val di Zena).
Il comandante era un certo N.; c'era anche un altro N. (fratello o cugino del primo) che faceva la staffetta.
Nell'autunno entrambi lasciarono la compagnia per entrare in un altro gruppo sul monte Adone; poi scomparvero in circostanze piuttosto misteriose.
Regazzi su di loro nutre molti sospetti e ritiene che in qualche modo c'entrino con i due episodi più tragici vissuti dalla loro compagnia in quel periodo (estate '44).
Il primo è quello in cui perse la vita Paolo Cesari (v. testimonianza di W.Aldrovandi e il "Diario" di don Biavati).
Ogni tanto, data la vicinanza, qualche partigiano faceva una scappata a casa.
Quel giorno (19 luglio) da Pianoro scesero in tre. Ma come arrivarono a San Lazzaro, nella zona di Pontebuco, furono subito "beccati" dalle brigate nere. Uno lo ammazzarono subito (era Paolo Cesari) mentre - così dissero - tentava di scappare. Gli altri due li portarono a villa Jussi (sede fascista) per interrogarli, poi li spedirono in campo di concentramento in Germania.
L'altro episodio è quello in cui fu preso proprio Luciano Bracci.
Una sera, una pattuglia di cui faceva parte anche Luciano (ma non Gaetano, che in quel momento stava poco bene) dal Botteghino si avviò verso San Lazzaro. Arrivati nei pressi di una casa, vicino alla fornace di Riosto, incontrarono i tedeschi.
Si comincia a sparare; i partigiani si disperdono, coperti da Luciano, che, pur essendo ferito a un braccio, continua a sparare: ma poco dopo viene preso e fatto prigioniero.
Nel frattempo, verso sera, la madre di Luciano arriva alla base partigiana in cerca di suo figlio. Gaetano cerca di tranquillizzarla dicendole che sicuramente entro mezzanotte sarebbe rientrato.
Ma quando, qualche ora più tardi, la pattuglia rientra, Luciano non c'è. La madre resta lì ad aspettarlo tutta la notte ("la più brutta notte della mia vita", dice Gaetano).
Il giorno dopo qualcuno avvisa i partigiani che i tedeschi, dalla casa dove era avvenuto lo scontro, stavano portando giù Luciano su di un biroccio, dopo averlo legato col fil di ferro e messo dentro una gabbia per conigli.
Ma i soldati di scorta sembra che fossero pochissimi, anzi, secondo qualche voce, uno o due soltanto. Gaetano ritiene che si debba fare qualcosa per liberare Luciano, e cerca di convincere il comandante N. ad intervenire. Ma questi non ne vuole sapere.
La discussione si accende. Ad un certo punto N. tira fuori la rivoltella e la punta contro Gaetano: "O fai come ti dico io o ti ammazzo!". Intervenne un altro partigiano, un ex-ufficiale degli alpini, che puntò il suo mitra contro N., che subito si quietò.
Ma per Luciano non si fece nulla, anche se Gaetano è convinto che qualcosa si poteva e si doveva tentare. Come si sa, Luciano fu portato a Bologna, interrogato, torturato e poi fucilato il 30 agosto 1944.
Il distaccamento partigiano insediato a Castelnuovo, che di lì a poco diventerà la 62a brigata, si può dire che abbia avuto il suo vero e proprio battesimo del fuoco la notte del 13 giugno' 44: uno scontro a cui partecipò anche Gaetano, che lo ricorda ancora con grande emozione.
Per quella notte era stata organizzata un' azione a Monterenzio, che doveva essere compiuta da una pattuglia di 17-18 partigiani.
La pattuglia, arrivata al ponte di Lavacchio, cadde in un'imboscata (probabilmente c'era stata una spiata).
I tedeschi, da posizioni coperte, aprono il fuoco, sparando ininterrottamente per una ventina di minuti.
I partigiani si sbandano, ma due vengono colpiti mortalmente: uno è Libero Baldi (commissario politico della brigata), l'altro è Angelo Cevenini.
Cessata la sparatoria, Gaetano, con altri due (un amico di nome Lenzi e un ragazzo tedesco di 16-17 anni, detto "bocia", che si era salvato infilandosi a testa in giù in un tombino della strada), si mette alla ricerca dei compagni feriti.
Il primo che trovano è proprio Baldi, che, temendo di finire nelle mani dei tedeschi, con un fil di voce li prega: "Ragazzi, sparatemi... sparatemi...". Ma non ce n'è bisogno, perché muore sotto i loro occhi qualche istante dopo.
Trovano poi altri tre feriti, due colpiti alle gambe, il terzo, detto "Pompiere", con una pallottola nell'inguine.
Aiutano a trasportarli a Castelnuovo, dove vengono nascosti in una grotta. Il più grave, Pompiere, con uno stratagemma fu fatto ricoverare al Sant'Orsola, dove riuscirono a salvarlo.
Regazzi seguì la sua brigata quando questa si trasferì nella zona dei Casoni di Romagna.
Partecipò ai combattimenti del settembre-ottobre' 44, fino a quando la brigata si suddivise e in parte si disperse.
Non tentò di rientrare a San Lazzaro, dove i fascisti gli avevano già preparato la forca, ma seguì un suo amico che aveva la famiglia sfollata sopra Pianoro.
All'inizio di dicembre riesce ad arrivare a Idice e a nascondersi presso il mulino del Grillo (a circa tre km da Ca' di Bazzone, da dove passava la linea del fronte). Aveva con sé del tabacco, che scambiava con roba da mangiare.
Il suo obiettivo era di passare le linee e andare con gli americani. Qualcuno gli dice che ci sono mine dappertutto, e che l'unico passaggio possibile è proprio il canale del mulino, seguendo il quale si poteva arrivare fino a Sant' Anna, dove c'erano gli avamposti delle truppe americane.
E così, una sera di metà dicembre, Gaetano si mette in marcia. Toltisi pantaloni e maglione per non bagnarli e sporcarli, in canottiera e mutande scende nell'acqua del canale ("avevo 19 anni e il freddo quasi non lo sentivo").
Un po' camminando e un po' nuotando, percorre 2-3 km.
Arrivato al punto che gli era stato indicato, lascia il torrente e sale verso Sant' Anna.
Si presenta al comando americano: viene interrogato a lungo e poi spedito a Firenze, dove viene tenuto sotto custodia per ulteriori accertamenti.
Visto come gli alleati trattavano i partigiani italiani, non se la sente di tornare a combattere al loro seguito; accetta invece di collaborare al ripristino delle vie di comunicazione, facendo lavori stradali a Casola Valsenio fino alla Liberazione.
Testimonianza tratta dal volume:
Guerra e Resistenza a san Lazzaro di Savena
di Werther Romani e Mauro Maggiorani
Edizioni Aspasia