Nella seconda metà del settembre 1944, spesso io ero a Sassoleone, frazione del comune di Casalfiumanese, situata nell’alta valle del Sillaro.
Facevo parte della 62ª brigata Garibaldi ed ero addetto, insieme a Pippo, partigiano anch’egli della 62ª brigata, alla distribuzione dei viveri alla popolazione, fatto questo che era avvenuto spesso anche nei mesi precedenti.
Il 23 settembre la distribuzione la facevamo nel podere Paleto, appena fuori dal centro del paese: quella volta si trattava di carne e noi che conoscevamo tutte le famiglie ne davamo in quantità corrispondente al numero dei familiari.
A Sassoleone i tedeschi non avevano un presidio fisso: passavano, si fermavano qualche ora e poi ripartivano.
Sapevano che quella zona era sotto il controllo partigiano e procedevano con cautela. Già in precedenti scontri avevano avuto delle perdite e la strada del Sillaro non era per loro più tanto sicura.
In quei giorni il fronte si stava avvicinando. Gli alleati erano già nei pressi di monte La Fine e un battaglione della 36ª brigata Garibaldi si stava avvicinando alla zona in vista del congiungimento con le forze alleate.
Il 23 settembre, alle quattro del pomeriggio, vi fu uno scontro lungo la strada, a poca distanza dal centro, fra una pattuglia partigiana e un camion di tedeschi.
Lo scontro avvenne vicino al podere Cossellini. Morirono nello scontro due tedeschi, un ufficiale e un soldato, e l’automezzo fu distrutto. Tre soldati tedeschi che erano nel cassone riuscirono però a fuggire.
La popolazione allora, per timore di una rappresaglia, abbandonò in gran parte il paese nel corso della notte. Vivo era, infatti, il ricordo di un’altra rappresaglia, avvenuta il 24 luglio, sempre dopo uno scontro coi partigiani: i tedeschi allora bruciarono una casa a Cuviolo, poi diedero fuoco alla canonica poiché Don Ferri, il parroco, era amico dei partigiani e loro lo sapevano.
Don Ferri riuscì a scappare, ma la vittima non mancò: Duilio Ghini, un bracciante.
Io andai dai miei genitori, Ettore ed Angela, per convincerli ad andarsene con gli altri.
Ma non ne vollero sapere e con loro rimasero altri tre vecchietti, vicini di casa. Più tardi tutti e cinque si sistemarono in un rifugio, sempre nel paese, però, poco lontano da casa. Io mi unii con gli altri a Gesso.
La mattina del 24 settembre, appena fatta luce, tutto il paese era circondato dalle SS tedesche.
I tedeschi cominciarono a rastrellare tutte le case, le botteghe, i granai. Appena vedevano un uomo, una donna, un ragazzo, un vecchio aprivano il fuoco e li uccidevano sul posto, poi distruggevano le case col fuoco, dopo aver cosparso i pavimenti di benzina.
I miei vecchi furono uccisi nel rifugio insieme ai loro amici. Li crivellarono coi mitra e poi bruciarono le case attorno. Scala lo presero da letto e così, in mutande, lo portarono nei pressi della chiesa e lo uccisero.
Una famiglia di sfollati bolognesi, di cinque persone (Margherita Cella di 64 anni, Gisella Walf di 34 anni e tre ragazzi: Mario di 12 anni, Margherita di 13 e Anna Maria di 14), fu massacrata vicino al campanile. La Maria Lelli e la madre le uccisero in casa: fecero appena a tempo ad abbracciarsi e furono trovate così, fra le macerie della loro casa distrutta.
L’Elsa fu uccisa nel voltone della chiesa assieme alla madre Margherita. Le vecchie sorelle Fiumi furono uccise fuori di casa vicino alla chiesa; Luigiola lo uccisero dentro una porta, nella piazza.
Nella locanda uccisero Onesta Turrini, una contadina, e di Clotilde Poli si è trovato solo un piede fra le macerie del voltone.
Il vecchio parroco, Don Settimio Patuelli, che aveva preso il posto di Don Ferri, si unì alle vittime che erano più vicine alla chiesa e al campanile, cercò di frenare l’ira tedesca, ma anch’egli fu ucciso, mentre stava pregando, col rosario in mano.
La figlia di Pagani, che era andata nella casa col padre per salvare qualche oggetto e che per caso non fu vista dai tedeschi, udì grida disperate: «Non uccideteci! No, no! Dio mio, no!» e poi raffiche e ancora grida fino a quando scoppiò tutto.
Poi i tedeschi minarono la chiesa, il campanile e altre case attorno sebbene fossero già in fiamme e poi prima di andarsene, verso mezzogiorno, fecero brillare le mine. Le case crollarono, il campanile, alto una trentina di metri e che era la torre di un vecchio castello sforzesco, crollò sebbene le mura fossero grossissime e i cadaveri di nove persone vi restarono schiacciati sotto.
La chiesa, per puro caso, non saltò. Ma pochi giorni dopo, durante una incursione alleata, una bomba colpì le mine e allora crollò tutto.
Io corsi subito in paese e, fra le fiamme e le macerie, riuscii a trovare i miei vecchi, coperti di sangue, con i corpi ancora caldi. Vicini a loro i corpi degli amici Arcangeli, Suzzi e Francesca Monti.
Poi i tedeschi andarono a Ca’ del Vento, a due chilometri di distanza, verso Belvedere, e distrussero col fuoco un fienile e poi vi buttarono dentro il contadino Vincenzo Prosperi e la moglie.
In complesso la rappresaglia tedesca costò la vita a 23 persone e la distruzione del paese. A Ca’ del Vento portarono anche altre persone con il proposito di ucciderle: ad alcuni fecero addirittura arrotare i coltelli che dovevano servire al massacro.
Poi arrivò un motociclista da Sassoleone, i tedeschi parlarono fra di loro e si limitarono a mandare via i poveretti a calci nel sedere.
Il 27 settembre cominciò la battaglia di Ca’ di Guzzo fra una compagnia della 36ª brigata e i tedeschi in ritirata dal fronte, mentre a monte La Fine i partigiani del 1° battaglione della 36ª brigata avevano già fatto fronte comune con gli alleati.
Sassoleone fu liberata il 3 ottobre e solo allora la popolazione poté ritornare nel paese ridotto a un cumulo di macerie.
Ma prima di andarsene i tedeschi riuscirono a trovare il tempo per compiere un altro delitto.
Infatti a Gesso, appena quattro chilometri fuori di Sassoleone, uccisero un birocciaio, Giovanni Balducci, e poi Attilio Caprara, che faceva l’autista, e il contadino Sante Termini.
Li arrestarono, li interrogarono e poi li rilasciarono e mentre se ne stavano andando convinti di essere liberi, i tedeschi li mitragliarono alla schiena. Ubaldo Landi, che era con loro, riuscì a scappare gettandosi in una scarpata.