I boati del fronte scandivano quotidianamente, giorno e notte, ogni minuto della vita-non vita dei pochi abitanti di San Ruffillo, modesta borgata all’estremo sud di Bologna. Il fronte era lì, ad un paio di decine di chilometri in linea d’aria, da metà ottobre 1944, quindi chi avesse udito le raffiche di mitraglia il 10 febbraio 1945 e ancora nei giorni 1, 2 e 16 marzo le avrebbe potute confondere con i rumori della guerra. Tuonava l’artiglieria americana davanti a Livergnano e Monte Adone; rispondeva da par suo quella tedesca annidata nel contrafforte pliocenico. Una sorta di sanguinosa routine.
Non di rado proiettili della 5a Army USA cadevano in prossimità di San Ruffillo, destinati al traffico militare sulla Nazionale Toscana . Ma il ticchettio furioso della mitragliatrice non era prodotto dagli eserciti combattenti: segnalava invece una ulteriore infamia del nazifascismo nella nostra città, ribelle alla occupazione straniera ed alla pseudo repubblica sociale asservita alla svastica nazista. A San Ruffillo nelle quattro tornate prima citate vennero massacrati 94 uomini, tra partigiani ed operai rastrellati per compiere apprestamenti bellici. Di essi, 71 furono identificati da familiari e compagni di lotta, gli altri 23 restarono ignoti. I carnefici, infatti, ebbero cura di sottrarre documenti ed oggetti personali, con l’intento di impedire la risalita alle responsabilità. Specificheremo più avanti le modalità degli efferati eccidi a San Ruffillo. E’ utile sapere del clima opprimente che la città soffriva. Quattro anni di guerra avevano prodotto lutti in un gran numero di famiglie di soldati morti in Etiopia, Libia, Francia, Jugoslavia, Albania, Grecia, isole egee, Unione Sovietica; nulla o poco si sapeva dei prigionieri degli alleati e dei tedeschi catturati in seguito al crack dell’8 settembre 1943. Angoscioso il tormento delle incursioni aeree (93 i bombardamenti diurni e notturni nella città tra il luglio 1943 ed il 18 aprile 1945; diverse migliaia le vittime fra la popolazione civile, di cui ben 936 in quello del mattino del 25 settembre 1943; a fine conflitto si contarono 1271 edifici distrutti; 1501 semidistrutti, 2405 lesionati; ingenti a danni al patrimonio monumentale, artistico, culturale, con le lunghe ore trascorse nei rifugi, mentre fame e freddo imperversavano ed a cui faceva fronte solo chi aveva risorse per ricorrere al “mercato nero”. Alcuni episodi di protesta di gruppi di donne subirono drastiche repressioni da parte dei fascisti. La nascita della Resistenza, in città e nel bolognese, così come in tutta Emilia Romagna, fra le regioni più impegnate sui piani politico e armato, si pose il compito di mobilitare il più ampio schieramento di forze per accelerare, assecondando lo sforzo degli eserciti alleati, la fine della intollerabile situazione. Fascismo e nazisti risposero con le stragi di massa, la fucilazione dei renitenti alla leva repubblichina, i rastrellamenti, le deportazioni nei lager in Germania. A Bologna - città i primi barbari “esempi” vennero dati, già nel luglio 1944 dalla Brigata nera con la fucilazione pubblica di partigiani in piazza Nettuno, al muro che nominarono”posto di ristoro per gappisti”. Un gruppo di sette molinellesi fucilati in Via Irnerio al muro della Montagnola sotto il monumento al Popolano. Poi ci furono prelevamenti dalle loro case di professionisti e industriali accusati di antifascismo. Intanto venivano eseguiti, e negati, numerosi eccidi (negato quello di Marzabotto “frutto di voci infondate tipiche dei tempi di guerra”, scrisse in una breve nota a una colonna il Resto del Carlino). Ma la pratica degli assassini pubblici acuì la rivolta morale dei bolognesi, tanto che i nazifascisti pensarono di eseguire clandestinamente le loro turpi vendette. A Sabbiuno, sui colli di Paderno, il 14 ed il 23 dicembre 1944 vennero condotti decine di partigiani tratti dal carcere bolognese di San Giovanni in Monte e massacrati sul limitare del calanco innevato e fatti rotolare a basso. Essi erano stati rastrellati in gran parte nella zona di Anzola Emilia e San Givanni in Persiceto. Nel cippo si indica il numero di cento vittime, in parte non identificate. Il luogo della strage viene individuato solo in agosto, a quattro mesi dalla liberazione. Un saggio del prof. Alberto Preti, docente di storia contemporanea nell’Ateneo Bolognese, cita la identità sicura di 58 persone. Sempre nel 1944, al Poligono di Tiro di via Agucchi 98 dal 27 gennaio e fino al 13 o 14 dicembre caddero sotto il piombo fascista oltre 170 partigiani, tra i quali 4 medici romagnoli, tre austriaci, un partigiano sovietico ed uno olandese. Torniamo ora a San Ruffillo. L’area attorno alla stazione della Direttissima Bologna-Prato-Firenze, all’epoca aperta campagna, figurava dissestata dai crateri di bombe d’aereo, essendo la ferrovia obiettivo strategico individuato dagli anglo-americani. I fascisti reputarono opportuna la zona per realizzare il loro disegno omicida. Il 10 febbraio 1945 da San Givanni in Monte vennero prelevati 56 detenuti, catturati in rastrellamenti (una quarantina modenesi) e condotti a piedi a San Ruffillo: erano di Bologna, Castelfranco Emilia, Piumazzo, Manzolino, Riolo, San Cesario sul Panaro, Anzola Emilia, Sant’Agata Bolognese, Imola, Malalbergo. Il gruppo, come si è detto all’inizio, venne sterminato con la mitraglia. Altre esecuzioni vennero attuate nei giorni 1, 2 e 16 marzo, quando già si approssimava la liberazione. L’eccidio fu scoperto all’inizio di maggio, casualmente. Dalle fosse vennero estratte 94 salme, delle quali 23 non furono mai identificate. Alla dolorosa opera di recupero parteciparono familiari, partigiani, operai. Un documentato libretto è stato scritto da Andrea Ferrari e Paolo Nannetti, pubblicato a cura dell’ANPI provinciale, del Comitato per le Onoranze ai Caduti di San Ruffillo e del Quartiere Savena. Ora l’Anpi del Quartiere Savena, in collaborazione con le ANPI dei Comuni e delle Province e con le Istituzioni Pubbliche interessate, si propone di onorare i Caduti di San Ruffillo con una serie di iniziative rivolte alle organizzazioni della società civile, ai cittadini, ma soprattutto alle scuole. In particolare per il Quartiere Savena l’ANPI si sta interessando alla realizzazione, davanti alla stazione di San Ruffillo, di un segno di alto valore artistico ed architettonico. Ciò nell’ambito del riordino urbanistico dell’area. Un proposito quanto mai condivisibile e meritevole di giungere a compimento.