(Testimonianza di Adriano Soldati per gentile concessione della figlia Luisa Soldati)
Dovevo correre circa un chilometro, essendo tutta discesa in pochi minuti sarei arrivato alle capanne.
Arrivato al passo di Porta Franca trovai un ragazzo molto giovane che mi chiese di Peppone, era Alberto Giannini un partigiano della formazione di Tarzan (i Pracchiesi), lo invitai a tornare alla formazione, dicendoli che Peppone era sempre in cima e che al momento non sarebbe sceso, lo lasciai e iniziai a scendere verso la Stufa.
La Sorpresa
Il sentiero era ripido e tortuoso dovevo fare ancora cento metri poi, per fare prima, avrei tagliato per la macchia, ma, tre tedeschi con il mitra puntato sembrava che mi aspettassero, erano talmente vicini che ogni movimento poteva causare una loro reazione, non mi restò che alzare le mani.
Due tedeschi rimasero sul posto, l'altro puntandomi il mitra alla schiena mi spinse a camminare lungo il sentiero e poco dopo mi lasciò solo indicandomi di andare avanti, questo mi fece pensare che erano molti e che non esisteva possibilità di fuga.
Poco dopo venni raggiunto da un altro partigiano della formazione di Tarzan, Augusto Paccagnini, continuammo a camminare fin quando due tedeschi ci sii pararono davanti indicandoci di entrare nella macchia.
Mi rendevo sempre più conto che ci trovavamo in una brutta situazione e che le speranze di uscirne erano poche, sapevo quale sorte i tedeschi riservavano ai partigiani catturati.
Non ero solo
Entrati nella macchia, in una piazza da carbonari trovammo Oscar Santini (Truciolone) della formazione “Primo Filoni”, poco dopo arrivò anche il ragazzino incontrato sul crinale.
Eravamo in quattro prigionieri nella piazzola, il più vecchio ero io, non ancora vent'anni, il ragazzino, Alberto Giannini, poco più di 15 anni, con le mani legate e ammucchiati da non potersi muovere.
È stato colpito un compagno
Probabilmente era trascorsa circa un'ora dalla nostra cattura, tutto silenzio, i partigiani alle capanne non dovevano essersi ancora accorti della presenza dei tedeschi.
Pensavo, come potevano essere arrivati fin lassù senza essere visti?
Improvvisamente iniziò una fitta sparatoria e i tedeschi di guardia dimostrarono preoccupazione per ciò che stava accadendo, intanto speravo che i nostri compagni riuscissero ad arrivare da noi.
Purtroppo la sparatoria cessò, due tedeschi arrivarono e parlarono con gli altri, dai gesti capii che era stato colpito un compagno.
Quando i tedeschi decisero di ritirarsi, a me ed a Oscar ci sciolsero le mani e ci caricarono una cassa di munizioni per uno, a spinte e calci ci obbligano a correre.
Passammo il deposito dell'Acquedotto e mi resi conto che la postazione in quel punto doveva essere sguarnita al momento dell'arrivo dei tedeschi, altrimenti da li non gli sarebbe stato possibile entrare nello schieramento, in quanto il sentiero di Pian dello stellato era un passaggio obbligato che la postazione copriva.
Passato Pian dello Stellato ci fermammo ed anche ad Augusto (Spada) e ad Alberto (Nacchino) vennero liberate le mani e caricati di una cassetta di munizioni più piccola.
Seguitammo a camminare, era molto dura, le casse pesavano e facevano male, non potevamo riposare non avrebbero esitato a saprarci.
Camminando, guardando il cielo e tutto ciò che mi circondava e pensai: “ancora poco e tutto è finito”.
Monte Acuto
Una rapida salita, calci e spinte non mancavano, sbucammo in una piccola piazza dove c'era una fontana, avevamo tanta sete, i tedeschi permisero che si bevesse.
Arrivarono delle donne, una si avvicinò e ci offrì dell'uva, era Natalina una amica della mia ragazza di allora, le chiesi dove eravamo e che giorno fosse, il paese era Monta Acuto ed era Sabato 16 Settembre.
“questo è il mio ultimo giorno, se rivedrai Marina abbracciala per me” dissi a Natalina, con una spinta mi fecero salire con gli altri.
Uno alla volta ci fecero entrare in una stanza per interrogarci, io fui l'ultimo, saputo che reo di Maresca mi chiesero: “Tu sai chi sono i vostri capi, perché è Maresca la centrale dei ribelli” gli risposi che non conoscevo nessuno e mi riportarono nella piazzetta insieme ai compagni.
Trascorso poco tempo, quattro tedeschi incolonnarono i miei compagni e si allontanarono, io venni rinchiuso dentro una stanza, non capivo il motivo per cui non ero con i miei compagni.
Dalla piccola finestra della stanza, filtrava una luce sempre più scura e sempre più scuri erano i miei pensieri: “quanto tempo è passato da quando sono chiuso qua dentro!” guardai fuori la finestra era alta e finiva in un dirupo.
Tramonto
Una, due tre raffiche mi raggelarono il sangue, non c'erano dubbi, il dramma di Oscar, Augusto e Alberto si era concluso.
Il dramma vissuto dai miei compagni, quanto era straziante quel momento, rivivo tutto, minuto per minuto, sgomento e rabbia al pensiero che forse per una banalità tre giovani sono morti.