L’8 settembre 1943 mi colse a Venezia dove era stato assegnato da pochi giorni alla brigata Stanziale II Magazzini Generali della Regia Guardia di Finanza per servizio di istituto.
In precedenza mi trovavo al 6° battaglione mobilitato delle Guardie di Finanza dislocato nel Montenegro PM. 206, dove il 9 maggio 1943 a seguito di ferita d’arma da fuoco perforante la regione lombare destra, venni ricoverato all’Ospedale da Campo n. 611 di stanza a Priepolje (Montenegro) e successivamente per proseguo di cure venni trasferito all’Ospedale Militare « Duca d’Aosta » di Trieste. Da detto nosocomio venni dimesso il 9 giugno 1943 con due mesi di convalescenza che trascorsi presso i miei familiari sfollati nel comune di San Benedetto Val di Sambro (Bologna), frazione Ripoli.
Alla fine del mese di agosto, a seguito della smobilitazione, venni assegnato, dal Comando generale della Guardia di Finanza, alla Legione territoriale di Venezia dove assunsi servizio alla brigata Stanziale II Magazzini Generali, esplicando servizio prevalentemente nell’ambito del porto di Venezia. L’8 settembre 1943 verso le ore 18, quando venne annunziato dalla radio la fine della guerra, mi trovavo in Piazza San Marco e notai tra la folla scene di entusiasmo indescrivibile, ma io pensai che il peggio forse non era ancora venuto.
Infatti, qualche giorno dopo nello svolgere il mio consueto servizio nell’interno del porto, vidi arrivare delle navi prevalentemente italiane che trasportavano truppe italiane rastrellate nei territori greci, albanesi, montenegrini, jugoslavi, che, fatte affluire a Venezia, venivano successivamente caricate su carri bestiame ad avviate in Germania.
Più volte, in collaborazione con i ferrovieri addetti alla formazione di queste tradotte, con grave rischio della mia incolumità personale, facevo arrivare ai deportati cacciaviti, sbarre di ferro, bulloni e tutto ciò che poteva successivamente servire ad una fuga in massa.
Nell’ottobre del 1943 non resistendo oltre alla vista di tante nefandezze mi allontanai dal reparto di appartenenza portandomi pressa la mia famiglia in San Benedetto Val di Sambro.
Apprendevo successivamente che il mio comando di Corpo mi aveva denunciato in contumacia al Tribunale Militare regionale di guerra di Padova in Piove di Sacco per il reato di diserzione.
Sotto questa continua minaccia, col pericolo incombente di essere prelevato e passato per le armi, presi contatto con la brigata partigiana «Stella rossa» che operava in località poco distante da dove mi trovavo e il 1° giugno 1944 mi recai, unitamente a Giuseppe Castrignano, divenuto successivamente ufficiale di detta unità, nella località denominata «Macchia fonda», situata nei pressi della frazione di Lagaro nel comune di Castiglione dei Pepoli dove entrai da quel momento a far parte di detta formazione agli ordini del comandante di battaglione Celso Menini.
Dopo pochi giorni ricevemmo un attacco da parte di forze nazifasciste che subirono rilevanti perdite.
Il nostro battaglione, dopo questo combattimento che prese il nome dei Casoni, si sganciò dall’accerchiamento e si portò nei pressi di Pietramala, sul confine tosco-emiliano, dove prendemmo alloggio in un cascinale denominato Ca’ di Barba.
Quasi tutti i giorni ed in particolare la notte a piccoli gruppi ci portavamo sulle strade di comunicazione per effettuare atti di sabotaggio, rastrellando fascisti e tedeschi.
Questi atti servivano anche a procurarci munizioni e vettovagliamento in quanto ne eravamo a corto.
Alla fine di agosto, il Lupo ci raggiunse con un forte numero di uomini per riunirci a lui e fare ritorno nella zona di Vado.
Prima di lasciare Pietramala attaccammo in forze le postazioni della «Flak» tedesca che subirono ingenti danni in uomini e mezzi.
Dopo di che, a marce forzate, raggiungemmo le montagne circondanti Vado dove ci assestammo nelle posizioni in precedenza assegnateci.
Il 29 settembre 1944 subimmo un forte rastrellamento da parte di due divisioni tedesche, che dopo lunghi combattimenti ci fecero ripiegare.
Era il giorno dell’inizio del massacro di Marzabotto. I primi di ottobre.
Insieme a molti altri andai allora in località Tavernola nel comune di Grizzana, dove nottetempo attraversammo le linee per portarci nel comune di Castiglione dei Pepoli, già in mano delle truppe alleate.
Gli alleati, dopo averci chiesto la collaborazione, ci impiegarono al servizio di scorta di armi, munizioni e vettovagliamento per le truppe impiegate al fronte e questo fino alla liberazione di Bologna.