Capo squadra nella Brigata Garibaldi Gruppo «Bruno Buozzi» e vice comandante di compagnia nella Brigata «Stella Rossa» (1943-1945).
Ero pressoché un ragazzo, la guerra infuriava già da diversi anni, quando anche a me arrivò la cartolina di precetto, in base alla quale avrei dovuto presentarmi alle tristemente note «Caserme Rosse» di Corticella per essere poi inviato in Germania «per addestramento».
Ricordo l’angoscia dei miei genitori, i quali avevano già perso un figlio nella guerra in corso e nonostante la mia giovane età comprendevano esattamente cosa voleva dire andare in Germania. Ma io allora decisi di non andare affatto alle «Caserme Rosse» e di andare invece coi partigiani, anche perché l’ambiente da me frequentato era antifascista e nei nostri discorsi si parlava spesso di partigiani.
Mi accordai con un mio caro amico, che era nelle stesse condizioni, prendemmo accordi con una persona già a noi nota perché fervente antifascista, e ci facemmo accompagnare nel bosco, dove avvenne il primo incontro con i partigiani.
Entrammo in una formazione chiamata Brigata Garibaldi (Gruppo «Bruno Buozzi») che operava nella zona del Farneto, fra Camugnano e Castiglione di Pepoli, che era praticamente ancora in via di formazione; il comandante era Ottorino Ruggeri (Bill) e la cosa mi fece immenso piacere perché lo conoscevo personalmente come una persona seria e molto equilibrata.
Le armi erano poche e vecchie, ma l’atmosfera che regnava nel Gruppo era eccellente; eravamo proprio tutti per uno ed uno per tutti. E questa per me fu la prima esperienza positiva.
Cominciarono subito le esercitazioni pratiche sulle poche armi che avevamo allora e debbo dire che imparammo prima del previsto ad usarle bene. Naturalmente la vita era dura, le privazioni erano immense e la paura era molta, anche perché venne scoperto che in mezzo a noi c’era una spia, inviata dalla brigata nera e fu grazie al nostro cappellano don Tommasini, che evitammo di finire nel peggiore dei modi.
Prima di essere fucilato la predetta spia ci disse che tutte le munizioni da lui portate in Brigata erano prive di polvere nell’interno del bossolo e constatato che la sua affermazione era esatta, dovemmo buttar via la maggior parte delle munizioni in nostro possesso, in quanto non sapevamo più distinguere le buone dalle false e così restammo senza niente e la cosa ci colpì moltissimo anche nel morale.
Passarono pochi mesi da questo e da altri fatti dolorosi poi all’improvviso arrivò il «battesimo del fuoco» vero e proprio.
Si trattava di un rastrellamento da parte di numerose forze fasciste e tedesche e ricordo come in questo momento la paura che mi prese specie all’inizio; con l’esempio del comandante, e visto il sangue freddo dei più anziani, reduci da diversi fronti, riuscii a superare la crisi e la paura scomparve, ma purtroppo assieme alla mia paura scomparvero per sempre, combattendo eroicamente fino alla disperazione contro forze soverchianti, cinque miei cari compagni, e fra questi il mio carissimo amico Werther Lodi.
In questo combattimento rimase ferito anche il nostro comandante; fu visto e raccolto da una pattuglia di partigiani della Brigata «Stella Rossa» che si trovava in perlustrazione nella zona, e fu portato al loro comando per le cure del caso.
Ma la sua preoccupazione non fu di farsi medicare, ma quella di fare inviare rinforzi consistenti in nostro aiuto e ciò avvenne immediatamente, ma purtroppo era ormai tardi e quando arrivarono non poterono far altro che seppellire i nostri morti.
Da parte del comando della «Stella Rossa», venne inviato subito una staffetta, alla Macchia Fonda che era il nostro punto di riferimento, per avvertirci che il comandante era vivo, che si trovava presso quel comando e c’è da immaginarsi la nostra gioia perché ormai lo credevamo morto, o catturato dai tedeschi. Avuta la notizia ci consultammo e, a maggioranza, decidemmo di passare tutti alla Brigata «Stella Rossa».
Il congiungimento fra noi del «Buozzi» e la «Stella Rossa» avvenne a Casa Pasello, in comune di Grizzana.
Appena arrivati ritrovammo Bill, e fu una giornata di festa per tutti. Pochi giorni dopo fummo assegnati presso i comandi delle varie compagnie, ed io fui assegnato alla 2ª compagnia del 2° battaglione, comandata da Remo, sul Monte Salvaro. Appena arrivato mi fu data un’arma automatica proveniente da un lancio alleato e da allora, assieme ai miei compagni di squadra, cominciarono le azioni di sabotaggio e gli attacchi notturni a qualsiasi tipo di automezzo nemico sia isolato che in autocolonna.
Queste azioni fecero aumentare la sorveglianza da parte tedesca, ma non servì a nulla, perché noi tutte le sere eravamo ad attenderli e per loro non vi era via di scampo e gli scontri si risolvevano sempre in una loro sconfitta.
Dopo circa un mese ci spostammo, assieme a tutte le compagnie del battaglione ed andammo a Casa Olivone, perché in quella zona era stato stabilito che gli alleati ci avrebbero fatto un nuovo lancio di armi; ma purtroppo questo non avvenne perché Guido Musolesi, il fratello del Lupo, che era ufficiale di collegamento, era stato arrestato dalla brigata nera, e per questa ragione un collegamento esatto fu impossibile.
Ormai persa la speranza di un nuovo lancio, andammo una parte su Montovolo, e un’altra su Monte Vigese. Mentre eravamo ancora in marcia una staffetta venne ad avvertirci che i tedeschi stavano portando via il bestiame ai contadini che abitavano nelle varie borgate ai piedi del monte.
Intervenimmo immediatamente e costringemmo i tedeschi a fuggire lasciando sul posto non solo il bestiame, ma anche gli automezzi con cui erano arrivati ed assieme a questi anche i relativi equipaggi.
Il giorno dopo tornarono con forze più consistenti, e ci impegnarono in un combattimento che durò fino a tarda sera ed eravamo ormai convinti che avrebbero ripreso anche il giorno dopo, invece, nella nottata, i tedeschi caricarono sui camion i loro morti e partirono.
In questo combattimento noi avemmo solo un ferito leggero, mentre loro avevano perduto 70 uomini e questo lo leggemmo in un bollettino.
Due giorni dopo partimmo e tornammo a Monte Salvaro, e riprendemmo le azioni di sabotaggio.
Tutti i giorni queste aumentavano poiché avvicinandosi il fronte il nostro impegno aumentava sempre. Ormai non passava giorno che non vi fosse qualche scaramuccia, ed alla fine arrivammo, purtroppo, al 29 settembre e alla famosa ed orrenda strage di Marzabotto.
A proposito della strage di Marzabotto devo dire che se vi fosse stato (come del resto richiesto ripetutamente via radio tramite il cap. John, addetto militare alleato presso la nostra Brigata) un adeguato intervento aereo contro il treno blindato tedesco che andava e veniva fra le stazioni di Vado e Grizzana sparando su di noi con decine di bocche di fuoco di vario calibro, e sui molti pezzi di artiglieria che erano stati piazzati dalle truppe di Reder su tutto l’arco montuoso da Sasso Marconi a Grizzana, le cose sarebbero andate diversamente.
Questo purtroppo non avvenne e ciò causò, a mio giudizio, non solo la fine della Brigata, ma permise ai tedeschi di compiere con più facilità e minor danno l’orrenda strage di Marzabotto.
Io non intendo sopravvalutare la capacità offensiva e di resistenza della Brigata del resto dimostrata in questa e in molte altre azioni, ma vorrei piuttosto precisare che chi ha visto combattere i partigiani della «Stella Rossa» sa che in quella occasione la loro disperata resistenza non poteva essere sufficiente a scongiurare l’eccidio, poiché i mezzi in uomini e armi a disposizione del comandante di Brigata non erano assolutamente sufficienti per contrastare le forze di Reder impegnate in quel massacro.
E tutti coloro che con sottili menzogne hanno cercato di mettere in cattiva luce i partigiani della «Stella Rossa» davanti all’opinione pubblica, scrivendo su giornali e libri calunnie e dicendo che i partigiani avrebbero abbandonato la popolazione civile della zona alla mercé dei tedeschi, farebbero molto meglio a consultare le piante militari tedesche di allora, dalle quali si può chiaramente vedere quale enorme massa di uomini e di mezzi è stata impegnata dai tedeschi per piegare la resistenza dei partigiani della «Stella Rossa».
Del resto la data del massacro è anche quella della battaglia nella quale morirono combattendo lo stesso comandante della Brigata Mario Musolesi e tanti altri partigiani della Brigata e non si deve dimenticare che anche dopo il massacro e fino alla liberazione i partigiani della «Stella Rossa» continuarono a combattere a fianco degli alleati o in città.
E poi bisognerebbe ricordare il sacrificio di tanti contadini e abitanti del luogo: le famiglie della Macchia Fonda, di Casa Olivone, Casa Pasello, della Valle di Taverna, La Mandria, Collina di Creda, Molino di Mandria, Prà del Morto, Casa dell’Arrotino, L’Italia, Il Farneto, I Casoncelli, Casa di Lucarini, Casa Trovelli, Monte Salvaro, La Steccola e di tante altre case e località, molte delle quali ridotte in macerie e situate, oltrecché a Marzabotto, anche nei comuni di Castiglione de’ Pepoli, Grizzana, Camugnano e nelle frazioni di Creda, Sparvo, Lagaro, Burzanella, Taverna e Pioppe di Salvaro.