All’inizio della primavera del 1943, vivevo con la famiglia nei dintorni di Vado e fu in quell’epoca che conobbi Mario Musolesi, detto il Lupo.
Un giorno il Lupo mi disse che era giunto il momento per ogni buon italiano di contribuire alla formazione di un esercito partigiano da opporre al fascismo e all’esercito tedesco in particolare.
Dopo qualche settimana seppi che il Lupo aveva fatto aprire l’ammasso del grano di Vado e ne aveva distribuito il contenuto alla popolazione più bisognosa del luogo.
Questo fatto fece buona impressione su tutti ed io ne rimasi addirittura entusiasmato, tanto che, quando lo rividi, gli dissi che poteva senz’altro contare su di me.
In seguito conobbi anche Gianni Rossi, Alfonso Ventura, Sugano Melchiorri, il fratello del Lupo, Guido, e pochi altri, ed insieme iniziammo a costruire dei rifugi, ad accumulare delle provviste, e principalmente delle armi, in modo da poter raccogliere e dare assistenza a tutti quelli che scappavano dai tedeschi: tra questi ricordo i prigionieri fuggiti dai treni in transito sulla «Direttisima»: gli inglesi Steves e Bob, l’indiano Sad e lo scozzese Hoff.
Costituimmo così il primo gruppo della brigata «Stella rossa» con a capo il Lupo.
La prima sede di comando della brigata fu Ca’ di Germino (località nelle vicinanze di Vado), il domicilio del nostro compagno d’armi Alfonso Ventura.
Immediatamente cominciò l’attività armata e la nostra forza cresceva ogni giorno per l’arrivo di nuovi giovani, la maggioranza dei quali, però, era senza armi.
Nella primavera il Lupo riuscì a stabilire un contatto con una missione alleata e allora, i primi di maggio, ricevemmo un primo «lancio» di armi da parte degli inglesi: l’aereo sorvolò di notte, a fari spenti, la zona stabilita e allora noi facemmo i segnali previsti e così scesero uno dopo l’altro i rifornimenti tanto attesi e cioè materiale bellico (armi, munizioni, tritolo), vestiario, poca roba da mangiare e molto materiale di propaganda.
Fu in quell’occasione che i repubblichini di Vado, coadiuvati da un reparto giunto da Bologna, forse attirati dalle segnalazioni da noi fatte all’apparecchio inglese interessato al «lancio», giunsero sul posto e ci attaccarono.
La località dove ricevemmo il «lancio» fu Casa Casoncello, situata nei dintorni di Gardeletta e Rioveggio.
Ne seguì un accanito combattimento che si protrasse per tutta la giornata del 4 maggio.
Alla fine i repubblichini furono messi in fuga ed il loro comandante, il maggiore Bernini, rimase sul terreno. Da parte nostra, oltre che salvare tutto il materiale lanciatoci dagli inglesi, non avemmo a lamentare nessuna perdita.
Alla fine di maggio fummo attaccati in forze su monte Sole, e dovemmo sostenere un combattimento che durò due giorni.
Credo che questo sia stato il più riuscito fra tutti quelli di cui si rese protagonista la brigata «Stella rossa».
Infatti, in un centinaio di partigiani (tanti eravamo a quella data) riuscimmo a mettere in fuga tutti i reparti tedeschi che ci avevano attaccato e che venivano da diverse direzioni.
Le perdite subite dai tedeschi in questo combattimento furono elevatissime: da parte nostra pochi feriti e nessun morto.
Un’altra bell’azione da noi svolta fu la cattura di una camionetta del comando di divisione dell’esercito germanico, avvenuta in località monte Pastore, nell’estate del 1944.
Accadde che mentre mi dirigevo verso Tolè, con un gruppo di partigiani al mio comando, fummo raggiunti da raffiche di mitra provenienti da una camionetta che sopraggiungeva alle nostre spalle ed a bordo della quale si trovavano un maggiore, un tenente e due soldati.
Colti di sorpresa ci buttammo a terra ai lati della strada e quando la camionetta ci raggiunse fu tanto forte la scarica di fuoco che producemmo sulla stessa che tutti rimasero fulminati all’istante.
L’equipaggio della camionetta portava con sé documenti importanti sulla fortificazione della linea «Gotica», documenti che noi facemmo avere agli alleati, tramite uno degli inglesi che avevamo in brigata.
Quando, il 29 settembre 1944 cominciò la strage di Marzabotto, la brigata tentò di opporsi alle soverchianti forze di Reder.
Fu un tentativo eroico e disperato, ma nessuno si sottrasse al suo dovere. Nella battaglia attorno a Cadotto, il comando resistette in combattimento, fino alla morte del comandante della brigata.